Nostalgie
di Antonia Arslan
Annidata come un presepio digradante alle falde del monte Séllaro, mi appare la mezzaluna stellata di Cerchiara di Calabria. La strada si arrampica sinuosa, l’autista Vincenzo si ferma davanti a una fontanella, tutti beviamo con gusto, l’acqua fresca ha sapore, un vero sapore.
Dal vallone dirupato dove ancora si nascondono le grotte degli eremiti bizantini, e si sentono gli echi lontani di riti funerari molto più antichi, sprofondati nelle necropoli oscure dentro tondeggianti colline che attendono di essere scavate, si alzano vapori sulfurei.
Là sotto, nella forra che sul fondo si apre in una quieta conca naturale bordata di vigorosi fichidindia, si va a fare i bagni di fango, ci si immerge nell’ acqua salutare, si beve un aperitivo squisito con granita di limone. Visi attenti e cortesi sorridono intorno; parla una familiarità antica, un riposo dolce mi attira, forse ho bevuto l’acqua fatale del Lete, mi prende un sonno lieve.
Una nebbia densa e una piogga battente mi accolgono al monastero di Santa Maria delle Armi, scavato alto nella montagna, feudo dei Pignatelli, che vi lasciarono stemmi e sepolcri custoditi ancor oggi da mani devote. Là la Madonna apparve in forma di cerva gentile, a segnalare ai pastori il suo luogo. Le nuvole basse si accavallano verso occidente, scendono su di noi, ci confondono.
Tuttavi, non di armi si tratta, ma di greche spelonche, a ricordare per sempre, racchiuse in un nome straniero, le tante ondate di popoli di stirpe greca che, dalla colonia di Sibari in poi, giunsero su queste coste, fino ai monaci e ai pellegrini della grandi abbazie.
Curiosa Calabria. Siamo alti sul mare, questo Jonio che sembra dovunque vicinissimo, e il sole dell’ indomani scaccia le nuvole residue, ancora gonfie di piogga e di tuoni: resta un terso cielo di settembre orlato dai fichidindia gialli e rossi, maturi. Restano la nostalgia e il desiderio improvvisi di questa conca materna, che protegge da entrambi i lati dalle minacce e dalle angosce del “ fuori “, ti circonda con morbide piume come un nido antico, e poi ti proietta verso il mare accogliente, striato di colori lucenti.
Perché partire?, mi domando inquieta. Perché non restare e annidarmi in questo tempo sospeso, vicino al volto millenario di Hera del promontorio ?
Non mi attende lassù la dea del melograno e della colomba? Sulla larga strada romana che va verso il nulla nella piana feconda di Sibari, non potrei anch’ io camminare con lievi sandali d’oro? E mangiare le belle pesche rotonde, le mandorle fresche, i mandarini luminosi ?
E chiamare tutti per nome, lasciando la chiave infilata nella porta di casa, per offrire riposo al viandante? E poi sparire tranquilla, abbracciata a una di queste forme di pane immense, calde, profumate?
Com’ è difficile accettare la nostalgia, quando si intreccia coi sogni...